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LIVIO IMPROTA X ALTROVE

Livio Improta x ALTROVE
presenta Baldovino
“Capo D’Otranto - Terra di Leuca”

illustrazioni a cura di Shilha Cintelli


Un ultimo lembo di terra, scenario della fusione tra Oriente e Occidente, superstite della grecità in Italia. 
Un idioma, il griko, derivante dalla dominazione bizantina nel VI sec. d.C. 
che è sopravvissuto a Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi 
fino ad arrivare seppur in maniera “impura” ai nostri giorni. 

Calimera, Carpignano Salentino, Castrignano de’ Greci, Corigliano d’Otranto, Cutrofiano, 
Martano, Martignano, Melpignano, Sogliano Cavour, Soleto, Sternatia, Zollino, 
questi i comuni della Grecìa Salentina. 

Una lingua quella grika, sopravvissuta nella produzione orale salentina, 
che presenta punti in comune con il neogreco ed il dialetto salentino, 
che rimane in vita nelle parole e nei racconti delle persone anziane del luogo, 
nei testi e nelle canzoni degli artisti locali. 

Per secoli espressione della civiltà contadina; di valori, di usanze, e di una memoria storica 
ormai minata da costrizioni esterne e dal declino dello stesso mondo rurale, che hanno portato la lingua 
ad essere incapace di essere funzionale alla nuova situazione.
18°31’14”

Il punto più orientale d’Italia. 

Il faro è tra i cinque fari del Mediterraneo tutelati dalla Commissione Europea, 
il primo italiano a diventare museo, sede di una stazione metereologica all’avanguardia. 
Le convenzioni nautiche attribuiscono a questo luogo 
il punto di separazione tra il Mar Ionio e il Mar Adriatico. 

Il faro nasce nel 1869, sulle rovine di un'antica torre di avvistamento 
costruita da Carlo V nel 1560 per controllare la costa dalle incursioni turche. 
L’imponente torre alta 32 metri, è realizzata in carparo, 
la pietra calcarenitica tipica di queste terre. 

Riaperto nel 2008, dopo essere stato abbandonato negli anni ‘70, 
è completamente automatizzato e gestito dalla Marina Militare, 
identificato dal codice 1983 EF.

La lanterna, posizionata a 60 mt. sul livello del mare, 
emette una luce visibile a 18 miglia nautiche (33 km.)
Guardiani di pietra silenti, arroccati su ripide scogliere, 
che si rincorrono lungo la linea della costa a difesa del nemico proveniente da Oriente. 

Le prime torri costiere, risalenti all’XI secolo, nate per difendere le coste 
dalle scorribande dei pirati, finirono nelle mani delle famiglie locali a difesa dei propri possedimenti.
Ma a metà del XV secolo, con l’avanzare della minaccia ottomana 
ed il tragico assedio di Otranto nel 1480, l’imperatore Carlo V, ed il vicere del Regno di Napoli 
Don Pedro De Toledo 
stabilirono la costruzione, in maniera strategica e metodica, 
di ben 366 torri costiere, di cui circa 80 nella sola provincia di Terra d’Otranto.

Impresa non banale per le finanze del Regno, 
che finì per “appaltare” la costruzione delle fortificazioni a privati 
in cambio del titolo militare di “capitano di torre”.

L’edificazione doveva attenersi a due principali obblighi: 
il primo relativo all’utilizzo di sola acqua dolce per la messa in opera delle fortificazioni, 
il secondo di posare le fondamenta su una base solida, generalmente rocciosa. 
Ma alcuni capomastri per ridurre i costi di costruzione 
utilizzarono acqua salata per impastare la malta, 
contribuendo alla rapida erosione e facilità di crollo per alcune di esse.

Ogni torre prevedeva al piano terra una cisterna che raccoglieva le acque pluviali 
del terrazzo attraverso una minuziosa canalizzazione, 
caditoie ad ogni porta di ingresso e apertura delle torri, 
e la presenza fissa di un caporale e di un cavallaro, 
cui spettava il compito di diffondere il segnale di allarme ai paesi dell’entroterra.

Un “male” arricchito dall’elemento religioso, che coesiste su due livelli secondo gli studi di De Martino:
Il primo come fenomeno di natura culturale e religiosa legato al culto di San Donato (7 agosto) 
ritenuto santo protettore degli epilettici, la cui grazia era capace di guarire l’ammalato. 
Il secondo, di natura psicologica, ritiene il “male” la manifestazione 
di un malessere psichico che sfocia in una patologia. 
Questo tipo di culto diventava espressione di una popolazione disagiata,
 povera ed emarginata, del proprio disagio esistenziale davanti al santo con manifestazioni parossistiche ed ossessive, 
collocando così il “male” in una sfera extraumana 
per sottrarsi alla vergogna di una malattia oggetto di disprezzo.

Nel piccolo centro dell’estremo Salento di Montesano Salentino, il 6 e il 7 agosto 
coloro che erano afflitti dal “morbo sacro” confluivano al santuario di San Donato in pellegrinaggio
 in preda a convulsioni, grida disumane e esperienze allucinatorie.
Individui, per lo più donne, in cerca di una grazia non definitiva, 
ma ciclica della durata di un anno, per cui trascorso il periodo di validità 
il malato si trovava di nuovo nella condizione di dover ricorrere al santo. 

Fu il regista-antropologo napoletano Luigi di Gianni, allievo dello stesso De Martino, 
a documentare il 6 e 7 agosto 1965 a Montesano Salentino (LE) questo rito 
con il documentario “Il Male di San Donato”.
L’operazione culturale operata da Di Gianni è volta a comprendere, 
attraverso le riprese cinematografiche, espressioni misteriose e arcaiche 
di una cultura popolare che stava scomparendo definitivamente.
Due mari, comunicanti ma diversi, separati nella loro vicinanza, il Mar Ionio e il Mar Adriatico. 
Il confine tra i due mari è definito per convenzione nautica all’altezza del Canale di Otranto (Punta Palascìa), 
ma a Punta Meliso, il promontorio sottostante la Basilica Santuario di Santa Maria De Finibus Terrae
 avviene l’incontro tra le correnti provenienti dal Golfo Di Taranto e quelle del Canale di Otranto. 

Secondo gli studi dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale di Trieste 
la diversa salinità contribuisce a questo particolare fenomeno, 
caratterizzando una diversa colorazione di entrambi i mari, 
ed una diversa densità che implica una differente reazione alle correnti marine, 
che diventa visibile in presenza di determinate condizioni climatiche.

Alterazioni cicliche delle correnti che ne conseguono uno scambio di acque 
e relative specie marine che influenzano tutto il Mediterraneo Orientale c
on una regolarità di circa 7-10 anni. 
L’alternarsi ciclico delle acque 
è stato codificato in BiOS (Sistema Oscillatorio Bimodale Adriatico-Ionico).
“ecco l’inizio di un nuovo giorno, 
a dare nuova luce al cammino di chi sulle tracce di ciò che è stato, 
traccia nuovi principi, 
visioni future”
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Progetto Vicinanze ALTROVE Takeover Per un Mediterraneo come luogo di attraversamento A cura di Chiara Arturo & Cristina Cusani LIVIO IMPROTA X Read More

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